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Al Azhar alla prova della laicità

Oggi, tutti gli occhi saranno sul Papa, naturalmente. Ma in Egitto a essere sotto la lente del mondo è innanzitutto l'Università di Al Azhar, (il massimo centro teologico dell' Islam sunnita, dove si formano centinaia di imam di tutto il mondo), e la dichiarazione - annunciata per il pomeriggio di oggi - sul "rinnovamento del discorso religioso" per contrastare il terrorismo

islamico.Riuscirà lo sceicco Sheikh Ahmed al Tayyib, grande imam di al Azhar, a far superare all'Islam sunnita la prova della laicità?

Cioè quel presupposto essenziale per evitare che la religione diventi strumento di morte e di violenza? Riuscirà al Azhar almeno ad avviare un processo che in Occidente, proprio per la natura del Cristianesimo, è sì stato lungo (durato secoli), ma è riuscito a modellare su di sé il concetto stesso di democrazia e di diritti umani? L'interrogativo, insomma, è: il tentativo ci sarà e avrà successo?

La richiesta di "rinnovare il discorso religioso" per contrastare le tendenze fanatiche ed estremiste era stata fatta dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi proprio ad al Azhar già diverse volte, e con più forza dall'inizio del 2015. E finora il presidente si era spesso lamentato per la scarsa accoglienza riservata alla sua richiesta.

Al Azhar gioca una partita importante dal punto di vista ideologico all'interno dell'Islam e il grande Imam in persona è stato attaccato dalla rivista dell'Isis , cioè dello Stato Islamico, che si ritiene interprete fedele della Sunna, "Rumiyah" , all'inizio di marzo, come iman revisionista proprio per il suo rapporto con Papa Francesco. Ma dopo l'attacco di San Pietroburgo, lo stesso Tayeb si è affrettato a sottolineare che il terrorismo non si combatte con il dialogo interreligioso, perché ci sono cause economiche e la povertà alla base della radicalizzazione.

I segnali di cambiamento sono importanti. A fine febbraio Al Azhar ha tenuto un Convegno (imam da 60 paesi e 200 partecipanti) per definire i concetti di Costituzione, Stato e popolo (che è la Umma) dal punto di vista islamico. Con molti passi avanti rispetto all'integralismo dell'applicazione - a livello delle istituzioni civili - dei precetti islamici e della sua legge, la sharia. E , paradossalmente, per fare questo, indica un ritorno alle prime origini della religione mussulmana, al primo Stato islamico, quello di Medina.

Il Convegno - dal titolo "Libertà, cittadinanza, diversità e integrazione" - si è concluso con una dichiarazione ufficiale del Gran Imam con sei affermazioni di principio , a partire innanzitutto dal concetto di "cittadinanza", che al Tayeb rivendica essere un concetto che "ha origine nell'Islam, come è stato applicato perfettamente nel documento costituzionale di Medina e nei successivi alleati e trattati in cui il profeta Maometto, pace e benedizioni sono su di lui, ha definito i rapporti tra musulmani e non musulmani".

"La Dichiarazione - continua al primo punto il Gran Mufti - sottolinea che la cittadinanza non è solamente una soluzione auspicabile, bensì un richiamo indispensabile della prima applicazione islamica del più bel sistema di governo alla prima comunità musulmana nello Stato di Medina. L'applicazione della cittadinanza del Profeta era totalmente esente da ogni discriminazione contro qualsiasi categoria della società in quel momento; essa contempla politiche basate sul pluralismo religioso, razziale e sociale. Tale pluralismo potrebbe prosperare solo in un ambiente di piena cittadinanza e di uguaglianza nel documento costituzionale di Medina. Il documento ha dichiarato chiaramente che tutti i cittadini di Medina devono essere trattati in modo equo in termini di diritti e responsabilità, che insieme costituiscono una Nazione, indipendentemente dalle loro razze e religioni e che i non musulmani hanno gli stessi diritti attribuiti ai musulmani e sono obbligati a rispettare gli stessi obblighi imposti ai musulmani".

Queste parole cadono in una situazione egiziana che in meno di vent'anni si è gravemente deteriorata. Nel 2000 Giovanni Paolo II oltre ad andare all'università di Al Azhar poté visitare il Sinai e il monastero di Santa Caterina , cosa che, anche a volerlo, sarebbe stato impossibile a Francesco, per motivi di sicurezza. Visto che il Sinai è diventato il ricettacolo di terroristi da tutto il Medioriente, dopo aver visto la sua economia basata sul turismo piegata a colpi di assalti ai resort occidentali.

Lo Stato di Israele pochi giorni fa ha chiuso i suoi confini con l'Egitto proprio lungo il Sinai (e proprio ieri il Wall Street Journal ha scritto che Israele deve fare i conti con un nuovo vicino, lo Stato Islamico).

Significativamente in relazione alla Conferenza di oggi pomeriggio non c'è nessun riferimento a Rabbini o rappresentanti dell'altra religione abramitica, cioè quella ebraica. E la dichiarazione del Gran Mufti citata fa sempre e solo riferimento ai rapporti tra cristiani e mussulmani.

Ma lo stesso Francesco domani potrà dire messa pubblica in Egitto solo dopo che essa è stata spostata dentro una base dell'Aereonautica militare, che sola può garantire, con una ragionevole certezza, la sicurezza dei fedeli. Francesco, insomma, non si sposterà con la macchina blindata, ma la sua Messa sarà militarizzata. La visita in ogni caso durerà in tutto 27 ore.

Del resto, l'Egitto oggi festeggia Francesco, ma i cristiani (copti e il piccolo gregge cattolico), dopo i due attentati della Domenica delle Palme, all'inizio di questo mese, non hanno potuto "festeggiare" la Pasqua di Resurrezione, tanto più significativa quest'anno perché è caduta in una data comune per cattolici e ortodossi. Tutte le cerimonie della Settimana Santa sono state cancellate per motivi di sicurezza, si è svolta solo la Messa della notte di Pasqua.

Una situazione che sarebbe ritenuta, giustamente, inaccettabile da ogni mussulmano se fosse accaduto durante il Ramadan.

Insomma, bisogna dare fiducia al cambiamento di Al Azhar, ma anche monitorare che non si tratti di un'operazione magari intessuta di ottime intenzioni, ma con limitati effetti pratici.

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