Ginevra, Francesco e la strage di San Bartolomeo
A Cinquecento anni dalla Riforma, il Papa in visita a Ginevra segna una tappa fondamentale nel percorso di unità con le altre Chiese cristiane, questa volta nella patria di Calvino. E insieme indica un nuovo approccio nel rapporto tra il papato e i poteri civili in una fase storica in cui gli eventi del passato vengono spesso rielaborati e usati nel discorso pubblico. Se questo fa dannare gli storici di professione ( che ne lamentano il ricordo sulla base di preoccupazioni contingenti), ciò serve comunque a mostrare visivamente la distanza che separa il pontificato di Francesco dal passato.
Per farsi un’idea di che cosa significhi Calvino e i calvinisti per la storia della Chiesa cattolica basta fissare lo sguardo sui tre affreschi che papa Gregorio XIII commissionò a Giorgio Vasari, all’epoca l’artista più in voga per le grandi decorazioni murali, per la Sala Regia, il salone d’onore del Palazzo Vaticano destinato a ricevere i sovrani in visita ufficiale e dove tuttora il Papa svolge ogni anno il suo discorso “geopolitico” più importante, quello al Corpo diplomatico.
Nel 1572 il corredo artistico della Sala era stato in larga parte già realizzato e sottolineava i diversi momenti di affermazione della Chiesa sui poteri civili, dalle donazioni medievali al periodo contemporaneo. Pio V ad esempio aveva fatto affrescare la scena della vittoria di Lepanto della flotta cristiana su quella dei turchi.
Vasari vi aggiunse rapidamente tre composizioni, commissionate appunto dal Papa, e che immortalavano la strage degli ugonotti, i calvinisti francesi, nella notte di San Bartolomeo , quella tra il 23 e 24 agosto di quello stesso anno. Nello spazio a destra della porta che conduce alla Cappella Sistina dipinse l’episodio del ferimento del leader degli ugonotti, Gaspard de Coligny, nella notte della strage . Sulla parete nord, a destra del trono papale, rappresentò sia il massacro degli ugonotti sia la scena dell’uccisione e defenestrazione di Coligny. Alla sinistra del trono papale, Vasari raffigurò infine il re Carlo IX nell’atto di assumersi in Parlamento la responsabilità del massacro degli ugonotti.
Almeno due volte papa Francesco ha fatto riferimento in passato alla strage degli ugonotti. La più recente rispondendo alla domanda di un giornalista sul valore attuale degli insegnamenti di Maometto, il papa Francesco ha affermato « le guerre fra religioni sempre ci sono state, nella storia, sempre. Anche noi dobbiamo chiedere perdono. Caterina de’ Medici non era una santa! E quella guerra dei Trent’anni, quella notte di San Bartolomeo… »?
Il pontefice ha quindi utilizzato quell' evento per contestualizzare il presente, assorbendo i singoli episodi di violenza in una millenaria storia dei crimini commessi per causa di religione, che dovrebbe essere oggetto di perdono reciproco. Ciò nel solco di quanto affermato nell’incontro con i giornalisti nel volo per Manila (15 gennaio 2015). Anche in quel dialogo – molto noto giornalisticamente per le considerazioni svolte sugli attentati a « Charlie Hebdo » – il Pontefice aveva già citato la notte di San Bartolomeo quasi a bilanciare lo sdegno per i recenti attacchi del terrorismo islamista.
“ Naturalmente, episodi come quelli ora richiamati -annota Stefano Tabacchi, saggista autore di un recentissimo volume “La strage di San Bartolomeo, una notte di sangue a Parigi”, (Salerno editrice), oltre che una pregevole biografia del cardinale Mazzarino- non hanno a che vedere tanto con la riflessione storiografica, quanto piuttosto con l’uso pubblico della storia che, specialmente in Europa, appare sempre più caratterizzato da una generale tendenza delle autorità politiche e religiose e del ceto giornalistico-intellettuale a promuovere forme di riconciliazione rispetto a eventi storici più o meno antichi e a riconoscere a una miriade di gruppi (etnici, religiosi, politici) un diritto a qualche forma di riparazione per i torti subiti. Di qui il proliferare di “leggi memoriali” di cui anche la dottrina giuridica piú avvertita comincia ormai a segnalare la confusione concettuale e le pesanti conseguenze sull’ordinamento”.
Secondo Tabacchi, questo uso della storia per comprendere il presente, “ è un fenomeno complesso, ed è in relazione con la crisi, probabilmente irreversibile, della capacità degli Stati europei di fondare una memoria pubblica e con la scelta politica di fondare la costruzione dell’Unione europea su un simbolismo che tende a espungere le identità piú connotate in senso conflittuale e a ad affermare un riconoscimento universale delle molteplici identità, offrendo generosamente forme di riabilitazione, simbolica e non solo, dei torti subiti dalle varie componenti”.
La strage di San Bartolomeo fu un evento drammatico che generò un improvviso cambio di politica di una monarchia francese che aveva puntato il suo prestigio e la sua autorevolezza nell’affermazione della concordia tra cattolici e calvinisti, che doveva essere consacrata proprio nel matrimonio che invece fu all’origine della strage.
Probabilmente vale la pena approfondire la lettura dello studio di Tabacchi per comprendere perché le nozze tra la sorella del re, Margherita di Valois (nota come "regina Margot"), e il protestante Enrico IV di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia, considerate un atto di riconciliazione tra cattolici e protestanti, in occasione delle quali erano confluiti a Parigi migliaia di ugonotti, si tramutò nel suo opposto e spinse all’odio e alla divisione. E perché il Papato ne volle imperitura memoria dentro lo stesso Palazzo apostolico.
Da questo punto di vista la storia può insegnare che talvolta l’inferno è lastricato delle migliori intenzioni. Ma d’altra parte dimostra quanta strada, quanto cammino, per usare le parole usate da Papa Francesco a Ginevra , è stato fatto.