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È MORTO “GINGIO” :PORTA CON SE’ ALCUNI SEGRETI DELLA STORIA DEGLI ANNI DI PIOMBO.

L’ intramontabile “Gingio”, grande vecchio della politica italiana . Non volle rispondere alla Commissione Moro II, dopo la desecretazione degli archivi.

Di lui si può ben dire che è stato grande vecchio della politica italiana. Un potere solido, non ostentato, durevole, attraverso decenni e decenni della storia italiana e dei suoi momenti più drammatici. Morto il 20 settembre 2022 quasi centenario, essendo nato nel 1924. Un gran lombardo. Ancora in forma e attivo, sino slla fine. L’ultima apparizione pubblica, nella primavera del 2021 per la celebrazione dei 660 anni della fondazione della “sua” università, quella di Pavia, dove è stato professore.

Virginio Rognoni era ministro dell’Interno, quando il 9 ottobre 1982 un commando palestinese riferibile ad uno dei terroristi più temibili, fondatore del Consiglio rivoluzionario di al Fatah, Abu Nidal, mette a segno un attentato proprio nel centro di Roma. Davanti alla Sinagoga, a pochi passi dal Tevere. Nell’agguato muore un bambino di due anni , Stefano Gaj Taché , cittadino italiano di religione ebraica e altre 37 persone rimangono gravemente ferite.

Il fatto nuovo (riportato per primo da "Il Riformista” un anno fa ) è che in base ai documenti ufficiali del Sisde (il servizio segreto per la sicurezza interna, ora AISI) desecretati in questi ultimi anni, un attentato era stato “segnalato” come altamente probabile in ben sedici “alert”, nei quali se ne riteneva possibile l'esecuzione in occasioni delle feste ebraiche. E il 9 ottobre ricorreva appunto "la festa dei bambini”.

Nonostante questo e nonostante le molte richieste della comunità ebraica di incrementare le misure di sicurezza, proprio quel giorno persino la singola camionetta che usualmente stazionava davanti al Tempio maggiore, quella mattina venne rimossa. Perchè? Come mai il Viminale non dette seguito alle informative del Sisde? Cosa avrebbe potuto ancora dire Virginio Rognoni al riguardo?

Quarant’anni fa ci furono forti polemiche per quella che apparì subito come una grave inefficienza del Ministero dell’Interno.

Ma i nuovi documenti e molti altri che sono ormai consultabili in base alla legge “Renzi” del 2014, hanno fatto sorgere nell'ultimo anno nuovi e pesanti interrogativi. Quelli che il fratello sopravvssuto della piccola vittima della Sinagoga ha raccolto in un libro che viene pubblicato a quarant'anni da quell'aggiato. ( Gadiel Taj Tache' "Il Silenzio che urla", settembre 2022)

Noi oggi infatti sappiamo con certezza che, a partire dal 1973, venne sottoscritto un patto tra i nostri servizi segreti e le fazioni terroristiche

palestinesi in modo che l’Italia diventasse per esse un terreno di passaggio per il traffico d’armi. Con una sostanziale "non interferenza" italiana, se gli obbiettivi dei palestinesi in Italia fossero stati israeliani, ebrei o americani. Come spiegò nel 2008 in una intervista Francesco Cossiga al quotidiano israeliano Yediot Aharonot: “Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l’Italia più degli

americani, l’Italia si arrese ai primi”. E lo stesso capo dell’OLP Yasser Arafat nei suoi Diari (di cui il settimanale L’Espresso ha fatto un’anticipazione nel 2018) , ha annotato, perentorio, in relazione a quegli anni: “L’Italia è una sponda palestinese nel Mediterraneo”.

Il mondo allora era diviso in due e Roma assomigliava a Berlino, a metà tra Est ed Ovest . La prova del patto con i palestinesi è in un telex del febbraio 1978, a noi noto solo dal 2015, quando esso è confluito negli atti a disposizione della Commissione Moro 2, presieduta da Giuseppe Fioroni. In quel cablogramma da Beirut il colonnello Giovannone ( preannunciando il rischio di una grossa azione terroristica in Europa) confermava la volontà del Fronte popolare per la liberazione della palestina (Fplp) di tenere indenne l’Italia.

In realtà le cose andarono molto diversamente. Perchè neppure un mese dopo Aldo Moro venne rapito ad opera delle Brigate Rosse, ma operarono sul campo terroristi tedeschi della Rote Armee Fraktion, gestiti dal servizio segreto della Germania orientale (Stasi), in stretto contatto con i gruppi terroristici palestinesi. E a Berlino Est aveva trovato rifugio sicuro lo stesso George Habbash , leader del Fronte per la liberazione della Palestina, proprio il “firmatario” palestinese del “patto” con l’Italia e il terrorista Wadi Haddad , coinvolto dal colonnello Giovannone nelle trattative per liberare Moro durante i 55 giorni .

Un “patto” la cui esistenza è stata confermata personalmente anche da un protagonista dell’epoca ancora in vita ,Abu Sharif, soprannominato da Time magazine “il volto del terrore” , braccio destro di Arafat , nella sua audizione a Palazzo San Macuto del giugno 2017.

La documentazione completa relativa a quell’accordo impropriamente denominato "Lodo Moro" (visto che in realtà fu voluto dall’allora presidente del Consiglio Andreotti anche se Andreotti ne ha sempre negato pubblicamente l’esistenza) è ancora tutelato dal segreto di Stato, rinnovato nell’estate del 2020 dal Governo Conte II.

Eppure, già quello che oggi sappiamo in base a decine di migliaia di atti desecretati e consegnati alla Commissione Moro che ha chiuso i suoi lavori nel 2018, e all’Archivio di Stato, è sufficiente per “ ristrutturare" il campo della conoscenza della storia degli anni di piombo nel nostro Paese . E degli attentati organizzati in Italia dai palestinesi (compreso quello di Fiumicino del 1985 con 13 morti e 76 feriti).

Del resto, l’Italia era diventata dall’inizio degli anni Settanta e fino al 1989, uno dei terreni principali su cui venne messa in atto la Guerra Fredda. E i terroristi palestinesi vi giocarono un forte ruolo.

Rognoni, esponente di lungo corso della sinistra dc, eletto deputato a partire dal 1968 per sette legislature, nel 1976 divenne vicepresidente della Camera, fino a quando il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, nel 1978, lo chiamò a sostituire come ministro dell’Interno, Francesco Cossiga che si era dimesso subito dopo l’assassinio di Moro. “ Gingio" , per gli amici, rimase al Viminale per 5 anni, fino all’83, mentre si sono succeduti ben cinque governi (Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini I e II, Fanfani ) .

Nell’82 ai tempi dell’attentato alla Sinagoga era presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini , il primo premier filoatlantico e filoisraeliano, salito a Palazzo Chigi dopo l’esplosione dello scandalo P2. Spadolini fu anche l’unico politico presente ai funerali del bambino.

I cinque anni di Rognoni al Viminale risultarono cruciali.

Rognoni era al Viminale il 1 ottobre del 1978 quando fu scoperto dagli uomini del generale Dalla Chiesa il covo brigatista di via Montenevoso, dove ( sappiamo oggi) venne ritrovata la copia di documento delicatissimo relativo all’organizzazione della NATO, circostanza di cui Dalla Chiesa informò il Ministero dell’Interno, all’inizio del 1979. Rognoni era al Viminale quando, nella primavera del 1979, si concretizzò una veloce e concordata “ consegna” alla polizia dei due br “dissociati” Valerio Morucci e Adriana Faranda che erano riparati in casa di Giuliana Conforto ( figlia di Giorgio, “ Dario" , il più

importante agente Kgb in Italia nel Dopoguerra, secondo il "dossier Mitrokhin") , appartamento in cui fu sequestrata una delle due armi che uccisero Moro, la mitraglietta Skorpion.

Rognoni era al Viminale quando Dalla Chiesa, capo dell’antiterrorismo, per oltre un anno si era messo alla ricerca dei documenti originali sull’organizzazione Gladio, scomparsi dalla cassaforte del Ministro della Difesa Ruffini, cui alludevano le copie ritrovate a via Montenevoso. Era al Viminale quando il generale, nel marzo 1980, eseguì il blitz di via Fracchia a Genova, dove venne ucciso Riccardo Dura, capo della colonna genovese e soprattutto, sappiamo oggi, venne recuperata una quantità imponente di documentazione. E tra essa quegli “originali” , che così riuscirono tornare al loro posto a palazzo Baracchini, qualche mese più tardi.

Rognoni era al Viminale quando il 4 maggio del 1982 venne stilato un cartellino segnaletico di Alessio Casimirri ( l’unico br presente in via Fani e condannato a sei ergastoli , ma che a tutt’oggi non ha fatto un giorno di carcere , ancor oggi riparato nel Nicaragua governato dai sandinisti ) dopo un "probabile" arresto di cui si è avuta traccia solo nel 2015. Rognoni era al Viminale , quando succedette a Rinaldo Ossola, nel 1982 , come presidente dell’Associazione di amicizia italo- araba ( carica che ha mantenuto per oltre un decennio).

Incarico che non deve stupire visto che già dagli Anni Settanta, tra tutti gli esponenti della sinistra dc, “ Gingio” era considerato il più filoarabo, sulla scia del suo mentore e maestro Luigi Granelli ( che lui accompagnò in delegazione ad una Conferenza al Cairo di cui si ricordano interventi di fuoco di Granelli contro Israele).

Per tutti questi motivi, pochi anni fa i commissari della Commissione Moro II avrebbero voluto ascoltare l’ex responsabile del Viminale. Per sentire da lui cosa poteva rendere noto sulle novità emerse dagli archivi . Si sarebbero recati loro a Milano, in modo da evitare all’anziano politico una faticosa trasferta a Roma. Sono state scambiate mail su mail, ma alla fine Rognoni ha fatto in modo di far cadere la cosa.

Nel 2018 , tuttavia, Rognoni ha trovato tempo e voglia per presentare un libro sui lavori della Commissione, scritta da Wladimiro Satta insieme all’unico parlamentare , Fabio Lavagno, che ha votato contro la Relazione finale dell’organismo parlamentare (approvato

all’unanimità anche dall’Aula di Camera e Senato) .

Evidentemente non si è trovato d’accordo con la ricostruzione del

terrorismo italiano ed internazionale fatta dalla Commissione Moro II e con la sua principale conclusione. E cioè che la ricostruzione “ufficiale “ della storia degli anni di piombo ( quella nota fino alla recente apertura degli archivi) è stata il frutto di un negoziato tra istituzioni e le Br, per “ confezionare"- grazie al cosiddetto Memoriale Morucci -“una verità di compromesso” che non alterasse equilibri internazionali troppo delicati, a cominciare da quelli con l’Est europeo e i palestinesi.

Tra l’estate del 1986 e quella successiva,1987 , un anno fondamentale - questo oggi lo sappiamo con certezza - per la stesura del Memoriale che viene attribuito a Valerio Morucci , Rognoni era Guardasigilli, cioè titolare del Ministero della Giustizia, che ha anche il controllo delle carceri.

“ Gingio", sarà nuovamente ministro, nel luglio 1990, l’anno dopo della Caduta del Muro di Belino, con Andreotti presidente del Consiglio (per rimanervi fino al 28 giugno 1992). Nuovo ruolo, questa volta : ministro della Difesa.

Per andare al governo, ruppe con tutta la sinistra dc (i cui esponenti, compreso Sergio Mattarella, non erano d'accordo nell’impegnarsi nella formazione del nuovo esecutivo) e ruppe in modo clamoroso con Granelli che lo accusò pubblicamente di “essere un traditore”.

Come responsabile della Difesa gestì ( a partire da agosto) insieme al presidente Andreotti, il “disvelamento” della struttura della NATO che era stata creata alla fine della Seconda Guerra Mondiale per rendere operativa la resistenza nel caso di una eventuale invasione sovietica, la struttura Gladio-Stay Behind.

All’inizio di ottobre (1990) , una nuova irruzione nel covo br di Via Montenevoso portò alla luce la parte “ mancante" del Memoriale di Moro riguardante la Gladio. Ma secondo l’analisi filologica compiuta sulle varie versioni del Memoriale di Moro ( se ne contano almeno quattro) e ai loro rimandi interni , da Francesco Maria Biscione (consulente della Commissione stragi e collaboratore dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana) mancherebbero però ancora all’appello il riferimento ai rapporti tra Andreotti e i servizi segreti e alle operazioni

dei nostri servizi segreti in Libia.

Quello di ministro della Difesa è stato l' ultimo incarico governativo di Virginio Rognoni (anche sevenne eletto dal 2002 al 2006, vicepresidente del Csm).

Dopo che tanto tempo è passato dagli attentati e dalle stragi, oltre al Pnrr e alle riforme, il Paese ha bisogno di verità sulla sua Storia: dall’attentato alla Sinagoga al caso Moro. Perchè un filo rosso li unisce: un filo rosso che emerge dai documenti ufficiali , non dalle dietrologie. Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi , ne è consapevole e il 2 agosto 2021(anniversario della strage alla stazione di Bologna del 1980) ha firmato una direttiva per un’ulteriore desecretazione di documenti.

Un uomo con un così lungo e prestigioso standing istituzionale, come Virginio Rognoni, non ha però sentito il bisogno di aggiungere nulla a quanto ha aveva detto in passato. Adesso porta vis con se' alcuni segreti della storia italiana .


pubblicato su Huffpost.it il 20 settembre 2022

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